Giuliana è una donna che ha da poco superato i 60 anni, vive a due passi da Milano, lavora come ginecologa presso un ospedale del posto e vive con suo marito, anche lui medico. Due medici in famiglia probabilmente non bastano a tenere lontane le malattie, ma almeno la diagnosi – si tende a pensare - non dovrebbe essere un problema. E invece per Giuliana il primo grande scoglio è stato proprio quello: far credere ai medici che non era depressa, ma malata davvero, e dare un nome al suo male fatto di tosse, catarro, broncopolmoniti, febbre, debolezza e perdita di peso continui. Ci sono voluti due anni per la diagnosi di malattia polmonare da micobatteri non tubercolari (NTM-LD) “e sono stata fortunata – racconta – perché conoscevamo dei medici a cui rivolgerci e perché ho potuto auto prescrivermi una tac ad alta risoluzione”. Chissà quanti , purtroppo, non avendo questa possibilità impiegano tempi più lunghi per giungere ad una diagnosi e alle opportune cure o non arrivano mai, condannati ad anni di sofferenze e spesso all’esito fatale che questa malattia comporta se non affrontata in tempo.
Per Giuliana tutto è cominciato con una broncopolmonite, davvero pesante, e poi con una febbre intermittente, a volte bassa a volte anche molto alta, che non voleva saperne di passare. “All’inizio – racconta ad Osservatorio Malattie Rare - nessuno si è allarmato, sono cose che possono capitare, ma dopo questo episodio ci sono state tante recidive, perdevo peso, ero sempre stanca. E questo no, non è normale che accada! Questo dovrebbe far allarmare, un medico deve domandarsi perché il paziente continua a tornare chiedendo attenzione per la stessa sintomatologia sempre più ingravescente. Invece per due anni sono andata avanti così, sentendomi dire a volte che era colpa della menopausa e altre, in maniera più diretta, che ero depressa: da medico sapevo che a volte i pazienti si sentono dire queste cose, ma viverlo di persona fa un altro effetto. Nella sfortuna però io ero tra i più fortunati: potevo permettermi visite private e auto prescrvermi una tac ad alta risoluzione. Quando la radiologa mi ha comunicato il mio referto, aveva la faccia sconvolta e per me è stata una certezza riguardo alla gravità della mia malattia. “Le ho chiesto ‘Ho il cancro ai polmoni?’ e lei mi ha detto ‘no signora, ma è comunque una cosa molto grave, non so dirle cosa sia’. I miei polmoni erano seriamente danneggiati’ “.
Con quella tac Giuliana va dall’ennesimo specialista, questa volta all’Ospedale Sacco di Milano, grazie ad un’intuizione del marito. “Lì hanno capito subito di cosa si trattava. Ho trovato un medico che conosceva la mia malattia e che per esserne sicuro mi ha fatto fare un’analisi dell’espettorato con la ricerca precisa dei micobatteri non tubercolari. E qui è arrivata una diagnosi di malattia polmonare da micobatteri non tubercolari (NTM-LD) dopo due anni , di diagnosi errate e di vane ripetute consulenze mediche. I segni specifici della malattia c’erano anche nella lastra fatta per la prima broncopolmonite, solo che nessuno ero stato in grado di riconoscerli e prescrivere gli accertamenti adeguati. Non avevo mai sentito nominare prima la malattia polmonare da micobatteri non tubercolari (NTM-LD). Mi hanno spiegato che non era una malattia contagiosa, che non dovevo temere per le mie pazienti e per i miei figli e che, se me la sentivo, potevo continuare a lavorare. La terapia però sarebbe stata lunga e molto molto dura, dovevo augurarmi che il mio corpo la tollerasse se volevo sperare di guarire – mi dissero chiaramente - in caso contrario la mia prognosi sarebbe stata incerta. Non conoscevo la malattia ma da medico il significato di ‘prognosi incerta’ mi era chiarissimo, significava che potevo morire”.
Il primo ciclo di terapia di Giuliana dura un anno e mezzo, prende 4 tipi di antibiotici tra i quali uno in vena che può causare danni a reni e udito. “Ho avuto tantissimi effetti collaterali, e ho anche accettato il rischio di poter perdere la vista, ho convissuto con nausea e vomito, ma ce l’ho fatta – racconta -. e il fatto di continuare a lavorare mi ha aiutato a non mollare. Dopo un anno e mezzo la malattia sembrava sotto controllo, e invece no, dopo 8 mesi si è presentata una recidiva e di nuovo ho dovuto fare una lunghissima terapia, ma anche stavolta ce l’ho fatta. So che sono stata fortunata, perché tanti non ce la fanno, i valori si sballano e bisogna interrompere la terapia, e la malattia riprendere il suo corso. Se poi ci sono altre patologie, per esempio il diabete, allora diventa ancora più difficile affrontare questo tipo di terapia, che è così complessa e lunga perché non ci sono ancora antibiotici specifici e bisogna combinarne diverse classi tra loro, praticamente passi la giornata tra pillole e iniezioni”. Una malattia subdola e cattiva, difficile da riconoscere e ancora più difficile da curare con le poche armi a disposizione oggi, ma non è solo questo a ferire i pazienti. “Immaginate una donna, un medico, che tossisce come una persona che fuma due pacchetti al giorno, piena di catarro, le persone si allontano, ti guardano male. Credo che sia una cosa molto dura da sopportare unita alla malattia. Essere isolati quando stai già combattendo una battaglia difficile fa male”. La malattia pur essendo causata da un batterio non è contagiosa per contatto diretto. “E’ importante dirlo, perché intorno alla tosse c’è uno stigma sociale. Così come va però detto che il batterio si diffonde nell’acqua e nel vapore, noi pazienti dobbiamo star ben lontani da terme, saune e i bagni turchi ad esempio”.
Oltre all’aspetto sociale poi ce n’è anche una molto pratico e immediato, l’aspetto economico. “Durante la terapia – racconta Giuliana - devi fare un sacco di controlli, continue analisi del sangue per valutare se il corpo ce la fa a tollerare tutti gli antibiotici, e sono tutte cose che paghi. Oggi sono in remissione, mi porto dietro un grosso danno polmonare e sono perennemente sotto controllo: esami del sangue, spirometria, visite pneumologiche, riabilitazione respiratoria e al minimo dubbio magari anche una Tac. Anche qui tutto di tasca propria, e io sono fortuna che non ho lasciato il lavoro e che tutto sommato possiamo permettercelo, ma tanti non possono, e tutto perché questa malattia non è inserita ancora nella lista delle malattie rare esenti. Puoi avere una qualche agevolazione solo se ti fanno una diagnosi di bronchite cronica in aggiunta alla malattia. Per complicare le cose poi ci sono anche difficoltà ad ottenere dei farmaci perché alcuni sono vecchi, praticamente non si usano più, ed è stato difficile farli arrivare”. Insomma la NTM colpisce il fisico, la vita sociale, può portarti via la capacità di lavorare e al tempo stesso richiede molte spese: è davvero una nemica terribile. Ad oggi c’è in corso di approvazione un nuovo farmaco, che secondo i risultati delle sperimentazioni dovrebbe ridurre di molto la durata della terapia e le possibilità di successo, ma ancora non è disponibile per i pazienti.
“Fin quando non ci sarà una terapia efficace – conclude Giuliana - non ci sarà diagnosi, perché i medici non vogliono fare diagnosi e poi tenersi una zavorra di paziente che sarà in terapia per due anni, con decide di controlli e nemmeno la certezza che possa guarire, è brutto da dire ma questa oggi è la situazione”.
“Spero – conclude Giuliana – che altri pazienti come me vogliano emergere dall’ombra, o magari che vogliano farlo i familiari, perché occorre che si superino le naturali reticenze per far sentire la nostra voce forte e chiara ai ricercatori, che potranno così sensibilizzare la ricerca ad investire risorse per una terapia migliore e alle istituzioni inserendo la malattia polmonare da micobatteri non tubercolari (NTM-LD) nei Lea”.